pubblicato il: 08/11/2015
autore: Agata Cleri
Prima di diventare mamma ho avuto la grande fortuna di viaggiare nei luoghi più selvatici e di scriverne per Airone. Più di una volta ho vissuto il brivido della vicinanza degli animali selvaggi, ma quasi sempre in condizioni di sicurezza. Fino a quel viaggio in Borneo, in cui la beata incoscienza e un cieco amore mi hanno portato a quell’escursione a piedi nella foresta pluviale. Quattro giorni di cammino risalendo corsi d’acqua, con i piedi sanguinanti, assaliti dalle sanguisughe, con un’umidità del 100 percento, per arrivare a una cabin in cui avremmo dovuto trovare riparo e che invece era stata distrutta dalle scimmie, costretti a pescare per mangiare, insieme a guide pigmee che non parlavano una parola di inglese. Ho imparato cosa vuol dire arrivare alla disidratazione senza accorgertene, piangere di sconforto per la paura di non farcela, piangere di gioia alla vista di un giovane orango che ci seguiva dall’alto dei rami, incapace di resistere alla curiosità. Quattro giorni meravigliosamente tremendi, vissuti scoprendo sensi che non sapevo di avere, con un’ iperattenzione ai piccoli e grandi esseri che potevano togliermi la vita anche se li amavo ed ero lì per incontrarli… Indimenticabile il momento in cui sono uscita dalla foresta con la certezza che mai più avrei voluto ripetere l’esperienza di sentirmi preda.
Quando un paio di anni dopo sono rimasta incinta, ho vissuto un’altra esperienza inaspettata: per tutti i nove mesi di attesa è stato fisicamente impossibile allontanarmi dal luogo in cui vivevo a causa di un’invincibile “sindrome del nido” che mi ha fatto molto pensare: ma come … io che avevo viaggiato in lungo e in largo con tutti i mezzi possibili … adesso non ero in grado di spostarmi in treno o in auto per impegni di lavoro e per vacanza ? Per capire mi sono interessata delle altre mamme animali e ho trovato qualche risposta in quelle specie in cui la femmina resta ferma nel nido, a volta addirittura chiusa dentro, per tutto il tempo della gestazione, fino alla nascita dei figli.
Noi siamo animali, nati da una catena lunghissima di esseri viventi che uno per uno ci hanno condotto fino a qui, a questo punto della storia della nostra specie umana. Se vogliamo vivere secondo natura non possiamo dimenticarcene.
Perché ho voluto fissare nero su bianco queste riflessioni? Perché spero che condividendole sia più facile capire se scrivo che <è innaturale chiederci di accettare di tornare a sentirci prede insieme ai nostri figli e animali domestici>. Sarebbe come negare da dove veniamo e chi siamo.
La “conservazione della natura” è una materia difficilissima in cui l’uomo deve quasi credersi un Dio capace di mantenere l’equilibrio tra centinaia di specie appartenenti a un certo ecosistema … Una disciplina che richiede precise conoscenze di tutte le componenti di quell’ecosistema e capacità di prendere le giuste decisioni rispetto agli obiettivi che ci si pongono.
Per esempio, che obiettivi ci si pongono oggi per la conservazione del lupo?
Non entro in alcuna polemica di quelle che riempiono i giornali, la mia è sincera preoccupazione per il futuro di entrambe le specie che amo (insieme a tutte le altre): quella del lupo e la mia. Spero che chi ha la responsabilità di fare le scelte di conservazione delle specie a nome dei cittadini e pagato con risorse pubbliche, non pensi davvero che possiamo accettare di tornare a sentirci prede.
Quanto è cresciuta la popolazione del lupo in Appennino? Perché è così frequente incontrare lupi in collina e in pianura ? Quali sono le strategie che si stanno attuando per conservare un equilibrio tra specie diverse e antagoniste? Si intendono stabilire azioni differenziate tra aree di montagna, aree di collina e aree di pianura, in considerazione del diverso grado di presenza umana e conseguente probabilità di interazione ?
Qual è la politica gestionale della fauna selvatica che si sta perseguendo da parte degli organi preposti?
La scorsa settimana a un incontro sul tema mi è sembrato di aver sentito dire che la “politica gestionale la decidono i politici” … capirete la mia preoccupazione, convinta come sono che dovrebbe essere fatta sulla base di solide conoscenze scientifiche.
Poi mi dico, se davvero la fanno i politici allora la disinformazione e le polemiche tra le parti diventeranno sempre più pericolose per i lupi, che alla fine pagheranno le conseguenze di una mancata o inadeguata gestione naturalistica delle diverse specie di popolazioni.
Per trovare le giuste risposte è necessario porsi le giuste domande e senz’altro non trovo giusto sottovalutare il problema della convivenza scaricandone il peso sulla popolazione umana. Non è serio chiedere agli abitanti di non far uscire dal cancello bambini e cani perché fuori il lupo potrebbe attaccarli. Sarebbe serio stabilire obiettivi di equilibrio accettabile tra conservazione delle specie e comunità umane residenti, anche stabilendo limiti e confini reciproci.
Ovunque si pratichino efficaci politiche di gestione della fauna selvatica, le popolazioni umane residenti sono le prime ad essere coinvolte, proprio perché è chiaro che dal conflitto con quelle può venire la minaccia più diretta agli animali che si vogliono proteggere.
Se da noi così non è, allora questo diventa un ulteriore tema di cui la gente dell’Appennino dovrà occuparsi e saperne di più per esprimere il proprio parere e confrontarsi con chi dovrà decidere quelle “politiche gestionali” a ragion veduta e nel prevalente interesse del bene comune, lupi compresi.
Didascalie foto:
le prime sono del 1991, nel Delta dell'Okavango paradiso terrestre che ho potuto visitare a dorso di elefante africano ... un modo fantastico di muoversi nell'ambiente naturale e avvicinare gli animali selvatici grazie al fatto che difficilmente sentono il tuo odore rispetto a quello dei meravigliosi grandi mammiferi che ti trasportano ...
Le ultime sono successive al 1993, anno in cui è nato il mio primo bambino.